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mercoledì 8 aprile 2009

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martedì 7 aprile 2009

George Dandin

Venerdì 12 e Sabato 13 Giugno 2009

GEORGE DANDIN

AUDITORIUM COMUNALE di NOVA MILANESE
(Via Giussani)

ORE 21,00

Il saggio finale del Laboratorio Teatrale 2008/09 è un'opera di Molière: "George Dandin".
Il Laboratorio quest'anno ha previsto due gruppi di attori che hanno lavorato, assieme ma parallelamente, allo stesso testo di Molière, avendo così la possibilità di confrontarsi tra loro e di "mischiare" i gruppi formando ensemble diversi.

Questo è il motivo per cui il saggio sarà presentato in due serate, il 12 ed il 13 giugno, all'auditorium di Nova Milanese: nelle due occasioni si esibiranno due gruppi di attori diversi o attori che interpreteranno due personaggi diversi a seconda della serata.

Questo saggio, per la sua complessità e per la sua completezza (si tratta di uno dei testi più importanti di Molière) verrà riproposto la prossima stagione nei teatri che saranno interessati: vi invitiamo sin da ora ad assistere alle due serate e a contattarci per le vostre proposte.



Che cosa succede quando un piccolo borghese, anziano e gretto, ma estremamente ricco, si sposa con una nobile donna molto più giovane di lui?


George Dandin è una commedia in tre atti scritta da Molière nel 1668 (in occasione del “Grande Divertimento Reale” di Versailles) in cui possiamo ritrovare molti elementi tipici della poetica del grande drammaturgo francese: la trama narra le vicende del borghese George Dandin che, sposatosi con Angelica, figlia di nobili, si trova in una situazione bizzarra e paradossale a causa della differenza di censo tra i due; nell’ossessivo meccanismo della farsa, infatti, a Dandin capiterà di tutto: per tutta l’opera cercherà di dimostrare che la moglie sta cedendo alle lusinghe del nobile Clitandro, diventerà suo malgrado confidente di coloro che cospirano contro di lui, osserverà la fedifraga negare la palese evidenza e addirittura assisterà impotente al suo tradimento.

Il tutto senza il minimo risultato: i suoi suoceri, i Signori di Sotenville, nobilotti di provincia attenti soltanto al mantenimento dell’apparenza dell’onorabilità, danno più peso alle parole della figlia aristocratica che alla prova dei fatti che il “misero” Dandin fornisce loro.
L’opera, costellata di momenti esilaranti, è un crescendo di umiliazioni per il protagonista che, oltre al danno, deve subire la beffa dettata dalla superiorità attribuita al ceto nobiliare.

Usando situazioni ed elementi tipici della tradizione Molière ci offre un’ulteriore tessera del suo “ciclo delle corna” che rappresenta uno dei punti più alti del percorso teatrale che il drammaturgo francese stava compiendo: partendo dalla farsa e dalla Commedia dell’Arte egli dà vita al moderno teatro borghese, un teatro che sotto l’esagerazione grottesca della farsa e la tipizzazione dei caratteri dell’Improvvisa nasconde una satira tagliente, una riflessione, comica ma “amara”, sulla società contemporanea a Molière, governata dalle convenzioni di una aristocrazia ipocrita e perbenista, in cui il “blasone” è tutto.
Un teatro che ridona vita agli altrimenti logori meccanismi scenici della tradizione (le maschere, le corna…) immergendoli nella realtà, donando loro un significato sociale, talvolta addirittura sovversivo, senza perdere nulla della loro originale comicità prorompente. Una comicità che, ancora oggi, permette al pubblico contemporaneo di ridere e, perché no, riflettere.


Lo spettacolo, che si svolge nell’arco di una giornata, si apre con le luci soffuse dell’alba e finisce nella notte, quasi all’inizio di un nuovo giorno: in mezzo a questi due momenti gli attori portano in scena quella che può essere chiamata l’ “esagerazione controllata” tipica di questo teatro; ciascun personaggio infatti è molto simile alle maschere della tradizione: Dandin si muove come Pantalone, il servo Lubin echeggia chiaramente gli Zanni, gli Arlecchini; la boria del Signore di Sotenville è quella di Capitan Fracassa, e anche tutti gli altri personaggi hanno un corrispettivo più o meno diretto coi “tipi” della Commedia dell’Arte: dalla serva Claudine (una “Colombina”) a Clitandro (il tipico “amoroso”).

Ma l’esagerazione che queste maschere presuppongono nella gestualità e nell’interpretazione è, all’interno dell’opera, controllata e, per così dire, pulita: essa non serve a portare sul palcoscenico movimenti confusi e caos ma, al contrario, diventa il punto di forza di una “macchina perfetta” in cui gli attori, in perenne contatto col pubblico (che, come accadeva nell’Improvvisa, viene spesso chiamato in causa), si muovono come ingranaggi di un meccanismo preciso e fulmineo che proprio grazie alla sua esattezza ottiene il suo effetto comico dirompente.

sabato 4 aprile 2009

GEORGE DANDIN

Che cosa succede quando un piccolo borghese, anziano e gretto, ma estremamente ricco, si sposa con una nobile donna molto più giovane di lui?

George Dandin è una commedia in tre atti scritta da Molière nel 1668 (in occasione del “Grande Divertimento Reale” di Versailles) in cui possiamo ritrovare molti elementi tipici della poetica del grande drammaturgo francese: la trama narra le vicende del borghese George Dandin che, sposatosi con Angelica, figlia di nobili, si trova in una situazione bizzarra e paradossale a causa della differenza di censo tra i due; nell’ossessivo meccanismo della farsa, infatti, a Dandin capiterà di tutto: per tutta l’opera cercherà di dimostrare che la moglie sta cedendo alle lusinghe del nobile Clitandro, diventerà suo malgrado confidente di coloro che cospirano contro di lui, osserverà la fedifraga negare la palese evidenza e addirittura assisterà impotente al suo tradimento.
Il tutto senza il minimo risultato: i suoi suoceri, i Signori di Sotenville, nobilotti di provincia attenti soltanto al mantenimento dell’apparenza dell’onorabilità, danno più peso alle parole della figlia aristocratica che alla prova dei fatti che il “misero” Dandin fornisce loro.
L’opera, costellata di momenti esilaranti, è un crescendo di umiliazioni per il protagonista che, oltre al danno, deve subire la beffa dettata dalla superiorità attribuita al ceto nobiliare.

Usando situazioni ed elementi tipici della tradizione Molière ci offre un’ulteriore tessera del suo “ciclo delle corna” che rappresenta uno dei punti più alti del percorso teatrale che il drammaturgo francese stava compiendo: partendo dalla farsa e dalla Commedia dell’Arte egli dà vita al moderno teatro borghese, un teatro che sotto l’esagerazione grottesca della farsa e la tipizzazione dei caratteri dell’Improvvisa nasconde una satira tagliente, una riflessione, comica ma “amara”, sulla società contemporanea a Molière, governata dalle convenzioni di una aristocrazia ipocrita e perbenista, in cui il “blasone” è tutto.
Un teatro che ridona vita agli altrimenti logori meccanismi scenici della tradizione (le maschere, le corna…) immergendoli nella realtà, donando loro un significato sociale, talvolta addirittura sovversivo, senza perdere nulla della loro originale comicità prorompente. Una comicità che, ancora oggi, permette al pubblico contemporaneo di ridere e, perché no, riflettere.

Lo spettacolo, che si svolge nell’arco di una giornata, si apre con le luci soffuse dell’alba e finisce nella notte, quasi all’inizio di un nuovo giorno: in mezzo a questi due momenti gli attori portano in scena quella che può essere chiamata l’ “esagerazione controllata” tipica di questo teatro; ciascun personaggio infatti è molto simile alle maschere della tradizione: Dandin si muove come Pantalone, il servo Lubin echeggia chiaramente gli Zanni, gli Arlecchini; la boria del Signore di Sotenville è quella di Capitan Fracassa, e anche tutti gli altri personaggi hanno un corrispettivo più o meno diretto coi “tipi” della Commedia dell’Arte: dalla serva Claudine (una “Colombina”) a Clitandro (il tipico “amoroso”).

Ma l’esagerazione che queste maschere presuppongono nella gestualità e nell’interpretazione è, all’interno dell’opera, controllata e, per così dire, pulita: essa non serve a portare sul palcoscenico movimenti confusi e caos ma, al contrario, diventa il punto di forza di una “macchina perfetta” in cui gli attori, in perenne contatto col pubblico (che, come accadeva nell’Improvvisa, viene spesso chiamato in causa), si muovono come ingranaggi di un meccanismo preciso e fulmineo che proprio grazie alla sua esattezza ottiene il suo effetto comico dirompente.



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venerdì 3 aprile 2009

Spoon River

Sabato 16 Maggio

SPOON RIVER
SALA CONSILIARE DI VIA ZARA
NOVA MILANESE

ORE 21,00

INGRESSO LIBERO


Nato da un saggio dei Laboratori, gli Scotch-Attori presentano il loro primo spettacolo: un recital basato sull'Antologia di Spoon River del poeta americano Edgar Lee Masters.

"Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom, Charlery, l'abulico, l'atletico, il buffone, l'ubriacone, il rissoso?"


È con questa frase tratta dalla poesia "La collina" che si apre lo spettacolo. Per questo recital è stata fatta una scelta accurata tra i 248 personaggi che compongono l'opera originale, proponendone alcuni tra i più affascinanti e interessanti.

Lo spettacolo pone il pubblico nel centro della scena, abbattuta infatti la distinzione canonica tra palco e platea, gli spettatori fanno parte quanto gli attori dello spettacolo, ne sono parte integrante.

Gli interpreti, interamente vestiti di nero, armati solo di un leggio e di un book-light, si aggirano come spiriti nella penombra, facendo percepire al pubblico la loro scomoda presenza.La scelta registica di lasciare agli attori il leggio con il copione serve a sottolineare il fatto che si tratta di un recital, ricorda al lettore che si sta giocando in bilico tra lo scritto e il recitato, che le fondamenta dello spettacolo si radicano nella lettura interpretata di qualcosa che possiede vita propria anche solo nella forma scritta.

I personaggi, che rivivono grazie alla voce degli attori, hanno la possibilità di creare da soli il proprio epitaffio, raccontando la propria esistenza e spiegando il loro punto di vista: ecco così che un singolo avvenimento ci viene mostrato da angolature diverse, a testimonianza che una “verità” univoca ed assoluta non esiste.

Peter Brook, regista teatrale brittanico, disse che: "Il Teatro non ha categoria ma si occupa della vita. È il solo punto di partenza, l'unico veramente fondamentale. Il Teatro è la vita.”.
Ebbene, "L’antologia di Spoon River" non è nient’altro che questo: la vita di un piccolo paese di provincia, con le lotte, le battaglie, i sogni e gli amori della gente comune, rosa dall’invidia, schiacciata dalla sofferenza ma capace anche di un'umanità sconfinata, di quell'umanità che ancora oggi ci tocca da vicino.



Recensioni:

"Coinvolgente. Emozionante. Da brividi." "Una scelta certo non facile quella di presentare un saggio di Spoon River, ma i ragazzi [...] hanno saputo emozionare."


(Giusy Taglia, Il Cittadino, articolo del 31 gennaio 2009 che potete leggere e scaricare qui)

giovedì 2 aprile 2009

SPOON RIVER

Nato da un saggio dei Laboratori Teatrali dell’Associazione “Il Cortile” di Nova Milanese, il primo spettacolo degli Scotchattori è un recital basato sull’Antologia di Spoon River del poeta americano Edgar Lee Masters.


“Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom, Charlery, l’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso?”


È con questa frase tratta dalla poesia “La collina” che si apre lo spettacolo. Per questo recital è stata fatta una scelta accurata tra i 248 personaggi che compongono l’opera originale, proponendone alcuni tra i più affascinanti e interessanti.

Lo spettacolo pone il pubblico al centro della scena: abbattuta infatti la distinzione canonica tra palco e platea, gli spettatori fanno parte quanto gli attori dello spettacolo, ne sono parte integrante.

Gli interpreti, interamente vestiti di nero, armati solo di un leggio e di un book-light, si aggirano come spiriti nella penombra, facendo percepire al pubblico la loro scomoda presenza. La scelta registica di lasciare agli attori il leggio con il copione serve a sottolineare il fatto che si tratta di un recital, ricorda al lettore che si sta giocando in bilico tra lo scritto e il recitato, che le fondamenta dello spettacolo si radicano nella lettura interpretata di qualcosa che possiede vita propria anche solo nella forma scritta.

I personaggi, che rivivono grazie alla voce degli attori, hanno la possibilità di creare da soli il proprio epitaffio, raccontando la propria esistenza e spiegando il loro punto di vista, che spesso si intreccia o va a contrastare la prospettiva ed il racconto di un altro personaggio: l'Antologia di Spoon River offre così la realtà vista da varie angolazioni, in cui la verità è sempre molteplice, mai univoca.

Peter Brook, regista teatrale brittanico, disse che: “Il Teatro non ha categoria ma si occupa della vita. È il solo punto di partenza, l’unico veramente fondamentale. Il Teatro è la vita.”.
Ebbene, l’Antologia di Spoon River non è nient’altro che questo: la vita di un piccolo paese di provincia, con le lotte, le battaglie, i sogni e gli amori della gente comune, rosa dall’invidia, schiacciata dalla sofferenza ma capace anche di un’umanità sconfinata, di quell’umanità che ancora oggi ci tocca da vicino.


Recensioni:

“Coinvolgente. Emozionante. Da brividi.” “Una scelta certo non facile quella di presentare un saggio di Spoon River, ma i ragazzi [...] hanno saputo emozionare.”

(Giusy Taglia, Il Cittadino, 31 gennaio 2009)



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